Cominciano a svegliarmi i cinguettii sul tetto, la mattina presto. E come succede quasi sempre, quando arriva questo anniversario, sento anch’io i primi sbuffi di aria di primavera e quindi mi metto più leggero, anche se, per la verità, sotto il sole dell’Emilia trovo ancora parecchia neve e tre gradi meno che al nord.
Festeggiamo il nostro quarantesimo compleanno, cioè quarant’anni da quando ci siamo conosciuti… trentanove da quando si sta insieme a tutti gli effetti… e una dozzina e mezza di anni di più per il mio genetliaco (cerco di confondere un po’ con i numeri…). Il giorno coincide, stranezze della vita… stavolta convalidiamo la ricorrenza con 24 ore di anticipo per via degli impegni di lavoro. Dobbiamo recuperare un po’ di nocini dalle parti di Maranello e dunque decidiamo di fermarci anche a provare questo posto, cui da tanto tempo puntavo per quanto avevo letto.
Lo stomaco è vuoto, ma cerco di superare quel senso di nausea che mi pervade da un po’ anche a stomaco vuoto, e che lunedì ha toccato il culmine quando, all’ultimo minuto, ho ceduto e sono andato a votare. Due schede: un voto per un ulteriore tentativo di fiducia e un voto arrabbiato per dire quello che non va. Perché questa brutta sensazione passi del tutto occorrerà che queste due componenti combinino qualcosa assieme. Stiamo a vedere e aspettiamo…
Devo dire che l’immagine esterna del locale non mi ha aiutato molto a far passare il disagio. Casetta anni 50, isolata in mezzo ai campi innevati, con dietro l’orripilante (per me) tubolare di cemento della ferrovia. Dipinta con un improbabile verde pisello, ha marmetti fini attorno alle finestre e tapparelle vecchie color arancio scuro. Direi non proprio bella. Dentro non è tanto tanto meglio, mi si perdoni, ambiente rustico, andante. E’ martedì mezzogiorno, ma il locale è quasi pieno, con un certo chiacchiericcio; noto parecchi single maschi, probabilmente in pausa lavoro.
Il cameriere, appena seduti, ci versa gentilmente due flutes di prosecco… trevigiano mi dice, non mi ricordo se Omomoro o Omomorto, la bottiglia l’ha portata via subito. Offerta apprezzabile ed apprezzabile anche il vino. Non era il top, ma era comunque buono. Poi chiediamo una bottiglia di minerale gasata, un calice di sangiovese superiore e un calice di lambrusco grasparossa. Non ricordo le cantine scritte sulla carta vini – peraltro abbastanza ben fornita – e non ci hanno fatto vedere le bottiglie. Ho sentito lo SS-TOCC del tappo stappato nella zona bar (fuori dalla nostra vista) un attimo prima di ricevere i calici; le bottiglie sarebbe meglio stapparle davanti agli avventori, ma siamo in una trattoria ruspante, quindi va bene anche così. Buoni entrambi i vini: ben profumato il sangiovese, migliore del lambrusco che però era ghiacciato… secondo me va servito un po’ meno freddo, ho dovuto aspettare parecchio prima di poterlo bere e di sentirne in parte l’aroma e il boccato.
In tavola, pane nero e cornetti di tipo ferrarese, niente di particolarmente ricercato, ma ugualmente entrambi buoni.
Di primo prendiamo un piatto di spaghetti al torchio con guanciale, cipolla e pecorino, e un piatto di orecchiette con melanzane, zucchine, olive nere, scaglie di ricotta salata (“leggermente piccanti” stava scritto sul menu), che poi ci dividiamo, io e mia moglie.
Gli spaghetti sono arrivati dopo sei - sette minuti ed erano evidentemente precotti, perché non si possono cuocere in così poco tempo, di quel diametro e al torchio. Erano al limite, quasi oltre il tempo di cottura, abbastanza buoni nel complesso, però un po’ “slacquarissi” e all’esterno leggermente molli, non si sentiva il pecorino e il guanciale era distante qualitativamente da quello che avevo mangiato nel Lazio lo scorso anno.
Le orecchiette ugualmente abbastanza buone, ma gli zucchini non c’erano (forse erano tritati, ma noi non li abbiamo visti) e il “leggero piccante” non si sentiva proprio. Anch’esse precotte, le orecchiette sono arrivate circa tre minuti dopo gli spaghetti… non ci mettono così poco a cuocere.
Non siamo una gran tavolata, siamo in due. Sarebbe stato preferibile portare in tavola i due piatti assieme. Sono piccole attenzioni, che rendono il pasto più piacevole.
Come secondo ordiniamo un piatto di faraona, mi sembra cotta al forno, e una “barchetta” di insalata di molesini con larghe scaglie di grana, aceto balsamico e guanciale ancora. La faraona aveva un intenso sapore di cortile, di volatile ruspante, come dalle mie parti non si sente spesso… mi ha fatto venire in mente quando, da piccolo, andavo a mangiare in campagna, in una corte dagli zii di mia mamma nella provincia di Mantova. Stoppo subito ricordi che ricominciano ad affollare la mia mente.
Abbondante in quantità (ne abbiamo mangiato in due), tenera e gustosa, la faraona era però un piatto un po’ scarno, anche come presentazione, e costava 14 euro. Forse, ma è solo una mia personalissima impressione, o un suggerimento (chiamiamolo così), sarebbe stato meglio togliere un po’ di faraona, un paio di euro e aggiungere qualche guarnizione di verdura per arricchire il piatto. Ma posso capire che, tra gli avventori, c’è anche chi preferisce ingozzarsi in quantità.
La barchetta d’insalata costava 6 euro, buona, con tanti molesini (ma al supermercato una quantità così non costa neanche mezzo euro), ben mangiabile. Il guanciale però, quattro cinque fette fine fine, sembrava pancetta arrotolata seccata al forno… anche qui forse siamo stati condizionati dal guanciale mangiato in centro Italia, ben diverso.
Niente dolce, siamo a posto. Il cameriere/proprietario mi chiede se desidero un nocino, che accetto volentieri. Le Streghe, ottimo secondo me. 45 euro il conto finale, onesto nel complesso perché ci abbiamo mangiato in due. Il servizio è stato celere e gentile, seppur un po’ sbadato nei frangenti segnalati.
Mi trovo, come sempre, in difficoltà ad assegnare una valutazione complessiva. E’ un po’ superiore ai tre, ma, complice anche la severità di mia moglie, che in questo giorno particolare devo senz’altro tenere in considerazione, non raggiunge i quattro.
Usciamo in mezzo alla neve, che si scioglie al sole formando piccoli rigagnoli risplendenti sull’asfalto, giusto il tempo di sbagliare strada e di intravedere la Secchia lì vicino. Ivano Fossati scandisce all’autoradio, con la sua voce roca e sillabata, “io so soltanto che con te ho aspettato… qualche cosa che non è arrivato…”. Mi gusto l’amara, un po’ triste, canzone, che peraltro rispecchia bene la situazione contingente.
“Ma la casa del serpente ha i suoi colori, il sole ne sta fuori, non sfiora la fragilità di chi fa della paura una sua serenità…”
E’ una circostanza che spesso si generalizza e si evidenzia in parecchie situazioni diverse, ben oltre il rapporto a due tra maschio e femmina, molto più di quanto non si pensi.
“Io so soltanto che con te ho aspettato… qualche cosa che non è arrivato…”
Consigliato!
[lukeforever]
27/02/2013