Quando si decide di subentrare ad una vecchia gestione, che lascia un posto ben avviato per mettersi in gioco e scommettere su una nuova sfida, si parte già svantaggiati: o si continua a proporre la stessa tipologia di cucina agli stessi prezzi, cercando di non stravolgere le abitudini di una clientela ormai affezionata, oppure si gioca la carta della sorpresa, cambiando tutto e improvvisando.
Se poi la vecchia gestione era quella di Marcello Leoni, una stella Michelin, in un locale storico come la Locanda del Sole, la sfida è ancor più complessa.
Spinti dalla curiosità, ci presentiamo a pranzo in un giorno infrasettimanale, senza prenotare e con la speranza di trovare posto.
L'inaugurazione della nuova gestione è di pochi giorni prima e la fama di questo locale, consolidata ormai da anni, è indiscussa.
Arriviamo verso le 13.30 e, sorpresa, siamo gli unici avventori e lo saremo per tutto il pranzo.
Il parcheggio è privato e da direttamente sulla veranda che nella bella stagione permette di mangiare all'aperto.
Le sale interne, in totale due, se si esclude una terza riservata agli ospiti della Locanda al piano superiore, sono sobrie, anche se mi danno l'impressione del "vecchio ringiovanito": pareti con perlinato, molto anni 70, rinfrescate con un verde salvia di due tonalità. Tende verdone, tavoli rotondi ampi e alla giusta distanza, tovaglie bianche, posateria Broggi.
Il menù ha alcuni piatti tradizionali, e si suddivide in tre antipasti, cinque primi e cinque secondi di carne, più un contorno e una selezione di formaggi.
Strana la scelta degli antipasti: a parte un erbazzone con crema di parmigiano, la scelta è fra un friggione con salsicce e costine oppure dei salumi misti con crescentine. Della serie, dopo gli antipasti passo direttamente ai dolci.
Decidiamo di provare l'unico accessibile, ovvero l'erbazzone.
L'impressione è quella del classico prodotto da forno, riscaldato ed adagiato sopra ad una crema di parmigiano non troppo saporita.
I primi.
Alcune scelte classiche, tipo i tortellini in brodo, le tagliatelle al ragù, le lasagne alla bolognese, si affiancano alla sempreverde gramigna con salsiccia e ai passatelli al ragù di coniglio.
Se si vuol valutare la vera cucina bolognese, si va a colpo sicuro sulle prime due proposte.
Un assaggio di tortellini ed uno di tagliatelle dunque.
I tortellini, piccoli, sono decisamente poco saporiti, sia per quanto riguarda la sfoglia che il ripieno. Il brodo è scuro e troppo saporito.
Le tagliatelle in sè non sarebbero male, con una buona pasta rugosa e cotta al dente. Peccato che il ragù sia troppo liquido e carico di passata di pomodoro (una bestemmia, per un bolognese doc).
Con le prime portate, accompagniamo un Brut di Francesco Bellei, niente male.
Come secondi, uno dei piatti forti della nostra cucina tradizionale è la cotoletta alla bolognese.
Non possiamo quindi farcela mancare, mentre l'altra scelta è un filetto di maiale con lo speck e le bietole strascinate.
Il filetto non è male, ma risulta poco azzeccato l'abbinamento con lo speck: di suo è già secco, cotto con il filetto diventa abbrustolito. Un filetto alla Giulio Cesare, con la pancetta al posto dello speck, avrebbe ammorbidito la carne e reso il piatto molto più piacevole.
La cotoletta invece è davvero deludente: di un colore grigiastro la carne, con un'impanatura non croccante, ma anzi molliccia e unta, tipica della cottura fatta in precedenza e poi riscaldata.
Il purè in accompagnamento è insapore. Anzi, sa solo ed esclusivamente di noce moscata.
Come abbinamento ai secondi piatti, ci facciamo consigliare un Dracone, rosso dei colli di Imola, uvaggio Merlot e Cabernet Franc. Buono.
Parentesi sulla cantina: a parte poche bolle, i produttori in carta sono tredici, tutti regionali, con una scelta scarsa e troppo limitata.
Decidiamo di provare anche un dolce, che sarà l'unica scelta vincente di un pranzo davvero sottotono.
Crema Catalana e budino di pane con salsa di cioccolato.
Davvero buoni. Entrambi sono fatti a regola d'arte, davvero azzeccati.
Con un paio di caffè, la spesa totale in due risulta essere di 120 euro (da sottolineare che i due vini sono costati in tutto 39 euro).
60 euro a testa, a Trebbo di Reno, non sono giustificati, soprattutto vista la qualità delle portate.
Un tortellino in brodo, per esempio, a 13 euro, non vale la distanza da uno preso in pieno centro, ma di qualità decisamente più alta, per giunta a 12 euro.
Vista l'apertura recente, c'è da augurarsi che il tutto si debba ancora assestare.
Ma se il biglietto da visita è questo, c'è da domandarsi se i vecchi clienti di Leoni continueranno ad andarci.
Peccato, poteva decisamente andare molto meglio.
Poteva andare meglio..
[joy]
16/03/2011