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La lavagna - Modenesità

Assaggio di Modenesità 3

GROG
Scritto il 18/01/2009
da GROG
Ecco qui spegata la storia di quel simbolo che alcuni ristoranti hanno all'ingresso del locale, composto da un cerchio con per sfondo una tovaglia a quadretti colorati e scritto sopra "Modena a tavola". Un locale che presenta questo marchio è il Baluardo della Cittadella, ciò significa che potrete trovare qui tutti i prodotti di questo consorzio.

Dal libro "Civiltà della tavola a Modena, Giorgio Maioli, Anniballi ed. Bologna, 1985".

Ã? evidente che i modenesi hanno sempre avuto una spiccata propensione per le attività promozionali, fare conoscere anche al di fuori della propria città tutto ciò che viene prodotto dalla terra e le realtà più tradizionali della tavola. Gli esempi non sono mancati, “le cronache” delle varie epoche sono lì a dimostrarlo.
Fra i tanti, il caso di Pietro Aretino, ospite per un lungo periodo di Venezia, ma personaggio conosciuto a Modena per avervi soggiornato e per essere assai stimato dalle famiglie patrizie modenesi, è ormai un classico. Lo chiamavano addirittura «divino», malgrado venisse anche chiamato “tagliaborse de principi” e il solito e puntuale cronista ha annotato un lungo elenco di regali che «i grandi del secolo», «quasi per una fatal cecità...», come egli scrive, elargivano all'Aretino negli anni in cui egli soggiornò a Venezia. A parte i doni di sete e di velluti, di gemme, a parte le sovvenzioni in denaro, i nobili e i patrizi modenesi facevano a gara, quasi con un tacito accordo, nell'inviare i prodotti della campagna che sarebbero serviti a imbandire con ricchezza la tavola dell'Aretino. Erano botti di vino, «vascellini di Tribiano», che probabilmente sarebbe diventato aceto balsamico, oppure erano salsicce o capponi e ancora cesti di frutta che partivano frequentemente dal Porto di Modena, sulle barche che collegavano la città estense con Venezia.
I più solleciti a testimoniare la validità di questo messaggio gastronomico avanti lettera, erano illustri donne modenesi, come Veronica Gambara, Barbara e Ginevra Rangoni, Pellegrina Caula, o «splendidi cavalieri», come li definisce il cronista dello Â?Â?Zibaldone”, quali Claudio Rangoni, Girolamo da Correggio, Camillo Caula. E i profumatissimi e gustosissimi doni, erano accompagnati sempre da lettere che rimangono come una testimonianza ancora viva della munificenza e della rinomanza che godeva la tavola modenese anche nel Rinascimento.
Le lettere, ricche di aggettivi e di complimenti nei riguardi del destinatario, testimonianze obiettive sull'andamento stagionale dei prodotti, contengono un potenziale risvolto promozionale per i frutti della terra modenese che raggiungevano anche i numerosi fondachi veneziani sparsi ovunque nel Mediterraneo, soprattutto in Grecia e sulle rive del Bosforo.
Quindi un “Modena a tavola” avanti lettera che quasi sei secoli dopo doveva diventare una realtà, se vogliamo consolidata dall'esistenza dei numerosi consorzi che si sono formati a Modena nell'arco di tempo che va dagli anni Sessanta agli anni Settanta. Ha ragione Giorgio Cavazzuti, della Camera di Commercio di Modena, quando dice che i modenesi avevano affrontato il problema della promozione molti anni prima che ciò avvenisse in altre città: alcune di queste città hanno però riguadagnato il terreno perduto, dimostrandosi forse, alla fine dei conti, più efficienti. «Siamo stati battuti sui tempi di realizzazione - precisa Giorgio Cavazzuti - anche se la nostra era una scelta lungimirante. Sicuramente eravamo partiti in largo anticipo e con un'idea la cui validità è stata in seguito largamente dimostrata.»
L'antefatto di quello che doveva diventare, con la costituzione del marchio “Modena a tavola”, il “menu più famoso d'Italia”, ebbe origine nel 1961 quando i viticoltori modenesi si riunirono per creare una cintura di difesa e di tutela del lambrusco. Il consorzio doveva creare le premesse per salvaguardare la tipicità di questo vino frizzante e allegro, unico al mondo, e soprattutto definirne una volta per sempre le caratteristiche organolettiche. Con l'aiuto della Camera di Commercio i vini che ottennero il riconoscimento D.O.C furono il lambrusco di sorbara, il Lambrusco Salamino di S. Croce e il Lambrusco grasparossa di Castelvetro.
Quattro anni dopo i modenesi, dimostrando una fertile iniziativa, orientarono il loro interesse sulla ciliegia: Vignola, con l'ampia corona delle sue “basse” che hanno reso famoso questo frutto della terra, era un punto fermo nella produzione d'alta qualità.
Il movente che ha dato il crisma alla fondazione del secondo consorzio modenese, è stata la necessità di garantire sia la ciliegia fresca nel periodo di produzione e raccolta, sia la ciliegia conservata in alcool dalle aziende che entravano nei comprensori.
La regolamentazione del consorzio rendeva tipiche le ciliegie, con precise caratteristiche per essere immesse sui mercati col marchio di tipicizzazione, soprattutto sui mercati del Nord Europa, molto sensibili a questo tipo di tutela e valorizzazione del prodotto.
Nel Â?68 nasceva il terzo consorzio, sempre sotto l'ala protettrice e vigilatrice della Camera di Commercio, che consentiva al nocino, altro prodotto di cui i modenesi sono sempre andati orgogliosi e di cui sono stati sempre ottimi produttori, di conquistare una propria immagine tipicizzata.
Il tema imposto era il liquore non distillato ma ottenuto secondo una regola esoterica che esigeva, ed esige ovviamente anche oggi, la macerazione lenta di noci immature con un bagno in alcool fra i 40 e 45 gradi. Si trattava, inoltre, di scegliere, tra i tanti metodi provenienti da antiche ricette familiari con sottili varianti, non facilmente individuabili, la più idonea alla commercializzazione. La zona di produzione del nocino tipico veniva circoscritta esclusivamente alla provincia modenese.
Un anno dopo era la volta del prosciutto, quando venticinque stagionatori si riunirono e decisero di dare un volto preciso al prosciutto che veniva prodotto lungo e attorno alla valle del Panaro, così come testimoniavano le cronache del Cinquecento. Gli stagionatori di questa zona collinare e montana, hanno una produzione di oltre un milione e mezzo di prosciutti all'anno.
Infine nel Â?79 nasceva, giustamente, il consorzio tra i produttori di aceto balsamico, con la finalità di allargare l'orizzonte del potenziale mercato per questo esclusivo prodotto modenese. Con l'appoggio determinante della Camera di Commercio, con decreto legge del 5 Aprile dell'83, l'aceto balsamico ebbe una denominazione di origine “tradizionale” che si distingue dal balsamico classico di Modena.
Non poteva mancare inoltre, la sinergia tra i produttori di una delle più tradizionali immagini della tavola modenese, lo zampone e naturalmente, del tortellino, con la sua immagine di “consorteria”, ai quali si aggiungeva, per giusta collocazione, il già supercollaudato consorzio del formaggio parmigiano-reggiano di cui Modena è una delle realtà territoriali più cospicue.
Questi prodotti rappresentarono la concretizzazione di un'idea: un'idea scaturita verso la metà degli anni Sessanta, quando la Camera di Commercio, in seguito a una serie di dibattiti, di conferenze, di discussioni, di incontri il cui tema era la valorizzazione alimentare del territorio modenese, concepì il progetto di dare un volto, un'immagine e quindi un simbolo unico, alla valorizzazione alimentare del territorio modenese.
La Camera di Commercio aveva compreso, ad esempio, che gli stessi consorzi non sarebbero mai decollati per raggiungere quel vertice di conoscenza e di consumi che essi meritavano. Lo afferma anche Giorgio Cavazzuti: «In verità i consorzi si sono sempre sostenuti con i contributi dei soci ma, d'altra parte, non hanno mai avuto grosse risorse finanziarie che consentissero il decollo.»
Così nacque “Modena a tavola”, un marchio, come conferma l'attuale presidente della Camera di Commercio, Carlo Baldoni, «che potesse richiamare e sottolineare lo spirito di questi consorzi, ma contemporaneamente li unisse sotto il nome di Modena. Si trattava, in sostanza, di creare un marchio che esprimesse la filosofia dei singoli consorzi.»
«Oggi questo marchio - prosegue Giorgio Cavazzuti - consente di unire sotto un solo simbolo, l'immagine della genuinità dei piatti e delle bevande tipiche della zona, mentre le azioni promozionali e di diffusione si svolgono, da parte della Camera di Commercio, in un modo certamente più armonico e funzionale, come d'altronde è già avvenuto in diverse occasioni di campagne pubblicitarie.»
Ma in che cosa si differenzia il marchio “Modena a tavola” dagli altri marchi che hanno la stessa finalità? Per un aspetto unico e irripetibile, il cui impatto promozionale fu intuito dall'allora Presidente della Camera di Commercio, Dario Mengozzi. La provincia di Modena infatti, a differenza di altre province che hanno affrontato lo stesso tema della valorizzazione dei prodotti alimentari, può vantare la proposta di un menu completo condensato nell'immagine del marchio: si comincia dall'antipasto a base di prosciutto, si prosegue con una buona minestra a base di tortellini, poi con alcune fettine di zampone accompagnate da insalata condita con aceto balsamico e con frittata all'aceto balsamico e, dopo la degustazione di alcuni pezzi di formaggio parmigiano-reggiano, si conclude con un piatto di ciliegie di Vignola prima di passare al bicchierino di Nocino.
Un pranzo completo, dunque, innaffiato opportunamente da Lambrusco, nelle sue tre varianti, Sorbara, S. Croce e Grasparossa.
Chi può affermare che questo non sia veramente il menu più famoso d'Italia?
Non c'era bisogno di inventarlo, dicono a Modena. Perché da secoli esisteva già.
Bisognava soltanto pensarci.